Finale di partita – Berlusconi indagato per concussione e prostituzione minorile.

Cari lettori, mi ripresento a voi dopo una lunga assenza con un post sulla crisi politica attuale, ripercorrendo sommariamente, senza grandi pretese di analisi, le tappe dell’ormai evidente e infinito declino politico di Berlusconi e di come siamo giunti a questo punto, scritto alla luce degli ultimi clamorosi sviluppi e delle nuove indagini che lo riguardano.

 

Negli ultimi anni, ai decennali conflitti con i magistrati che cercano in ogni modo di fargli scontare il suo debito pendente nei confronti della giustizia e della società, debito fatto di ogni sorta di reato possibile e immaginabile, da collusioni con la mafia a corruzione, concussione, falso in bilancio, riciclaggio di denaro, fondi neri delle sue imprese attraverso società fantasma off-shore, ecc.;

a questo infinito conflitto con la magistratura, dicevo, si sono aggiunti negli ultimi anni nuove pesanti imputazioni, su reati riguardanti non solo eventi già precedentemente conosciuti dagli inquirenti, ma anche scenari finora totalmente sconosciuti che prefigurano e ipotizzano nuovi gravi misfatti.

 

In quest’ultima legislatura, però siamo giunti ad una nuova fase della parabola berlusconiana, quella delle ondate di scandali sessuali che, a periodi ciclici, lo travolgono con effetti sempre più devastanti sul piano sia politico che personale, corrodendo ogni volta con furia quel che rimane della sua ormai ambigua ed equivoca immagine di uomo politico (e non solo) davanti all’Italia e al mondo intero.

Si è iniziato con lo scandalo Noemi, seguito a poca distanza dallo scandalo D’Addario e delle altre varie escort con cui si è scoperto è solito intrattenersi in festini tenuti nelle sue residenze romane e di Arcore, poi alla vigilia delle elezioni europee del 2009 è arrivato il turno delle escort e vallette delle sue reti televisive candidate nelle fila del suo partito.

In mezzo a tutto ciò, dopo varie avvisaglie arrivate nel corso degli ultimi anni (la famosa lettera a Repubblica del 31 gennaio 2007, seguita poi da altre lettere sempre più incalzanti e interviste varie), la moglie Veronica Lario, stufa e indignata dalla condotta riprovevole del marito, in seguito alla vicenda Noemi lo lascia e il 3 maggio 2009 annuncia la sua richiesta di divorzio , sputtanandolo davanti al mondo intero, poiché grazie a questo suo atto è emersa la condotta di vita a dir poco immorale e ripugnante di quest’uomo, sino ad allora quasi totalmente sconosciuta.

Di scandalo in scandalo si arriva sempre più in basso, fino all’inimmaginabile, allo scandalo più grande finora emerso, quello di Ruby e del famigerato bunga-bunga, alla fine di ottobre 2010, quello che dà il colpo di grazia definitivo all’immagine pubblica e privata di Berlusconi (non che gliene importi granché, lui anzi va fiero di queste sue prove di virilità, come testimoniano le sue immancabili barzellette e battute in materia).

 

Negli ultimi giorni, si sono però verificati due nuovi decisivi eventi.

 

Il 13 gennaio la Consulta ha parzialmente bocciato il legittimo impedimento, legge-truffa che Berlusconi ha creato per mettersi al riparo dai processi che lo vedono imputato, stabilendo che siano i magistrati e non Berlusconi a decidere quale impegno in agenda del premier costituisca o meno impedimento legittimo allo svolgimento delle udienze dei suoi tre processi (Mills, Mediaset e Mediatrade). Per approfondire rimando a questo articolo questo articolo di Repubblica.

 

Ieri 14 gennaio l’altra stangata: Berlusconi indagato per concussione e prostituzione minorile nell’ambito dell’inchiesta su Ruby.

Per approfondire rimando a questi articoli di Repubblica:

Berlusconi indagato per il caso Ruby e

Ruby, quei weekend ad Arcore e

Le sei notti di Ruby in villa e

In un fax scambiato fra due questure la verità sulla notte del fermo di Ruby ,

e a questa fotogallery delle reazioni estere e a questa intervista esclusiva di RepubblicaTV a Ruby, seguita da un approfondito dossier interattivo di RepubblicaTV . 

 

Dopo l’esposizione dei fatti, tiriamo ora le somme di tutta la situazione sopra descritta.

 

Dopo 17 anni di malgoverno e di gestione della res pubblica esclusivamente a proprio uso e consumo, attraverso leggi fatte apposta per evitare i propri processi (che tanto alla fine hanno sempre, guarda caso, come esito l’assoluzione, proprio come prevedono le norme non scritte in materia di tangenti e compravendita dei giudici, delle quali nessuno è esperto quanto lui), Berlusconi e il berlusconismo, questo vero e proprio morbo che ha infettato la politica e la società italiana dal 1994 ad oggi, instillato nelle menti e negli animi della gente sotto forma di una mentalità e un modus vivendi indiscriminati e all’insegna dell’illegalità come stile e regola primaria di vita, sono in ogni caso al capolinea.

 

Comunque vada con il legittimo impedimento e con questa nuova inchiesta-scandalo che lo investe in pieno, tutte le illusioni e menzogne con cui ha abbindolato per due decenni l’Italia, ha costruito il suo impero politico e fondato la sua immagine, tutto ciò si sta ormai inesorabilmente sgretolando sotto i colpi impietosi degli scempi endemici causati dal suo malgoverno, che sono sotto gli occhi di tutti, da Napoli all’Aquila, da Pompei (e al mondo della cultura in generale) al Veneto alluvionato, fino al debito pubblico esorbitante fuori controllo e l’emergenza sociale della disoccupazione.

 

La sua immagine di leader non esiste più, agli occhi del mondo intero è poco meno di un pagliaccio senza alcuna credibilità, una ridicola statua di cera in doppiopetto imbottita di botulino, con parrucchino e scarpe con rialzo, che ci ha reso oggetto di derisione e scherno nel mondo e ha distrutto la reputazione di un’intera nazione, un ultrasettantenne in preda agli spasmi di un’incontenibile malata libidine [ leggi qui ], così schiavo di una perversa dipendenza sessuale che va a pagamento con le minorenni, nell’ambito di festini-orgia organizzati a casa sua, supportato dai suoi amici che gli procurano le ragazze con le quali possa dare sfogo alle sue penose perversità senili.

 

L’incantesimo che ha convinto gli italiani per tre volte ad eleggerlo si è spezzato; Berlusconi cerca di rimanere a galla in ogni modo, facendo carte false e cercando ogni appiglio, scandalo dopo scandalo, ma il cerchio si stringe di giorno in giorno; sulla scacchiera non sono rimasti che pochissimi pezzi e per Berlusconi e le sue menzogne ormai è davvero:

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Tolstoj a cent’anni dalla morte tra letteratura e cinema.

Lev Nikolaevič Tolstoj (ritratto del 1887)..jpgCari lettori, seppur con tre settimane di ritardo, voglio oggi ricordare uno dei massimi autori della letteratura russa (e mondiale) di tutti i tempi: Lev Nikolaevič Tolstoj.

 

Molto è stato detto e ancora di più è stato scritto su questo poliedrico scrittore, versatile e ingegnoso come pochi, la cui vita e il percorso interiore di maturazione, filosofico e religioso, hanno quasi totalmente combaciato con la carriera letteraria nelle varie fasi del suo sviluppo, attraverso un’esistenza lunga 82 anni.

 

Anni in cui Tolstoj vede cambiare profondamente la sua nazione e l’intera civiltà europea, dalla nascita nel 1828 in una famiglia aristocratica nella Russia zarista che reca ancora evidenti su di sé i segni e le cicatrici, non solo materiali ma anche sociali, della guerra napoleonica, conclusasi tre lustri prima ma il cui lascito nelle menti e negli animi dell’intellighenzia russa (ma analogamente accadeva in tutte le altre nazioni d’Europa) era ormai impresso definitivamente;

fino alla morte il 7 novembre 1910 (secondo il calendario giuliano, tutt’ora in vigore in Russia; 20 novembre secondo il nostro calendario gregoriano) in una Russia totalmente diversa e percorsa da insanabili fratture politico-sociali, un impero in crisi che aveva già vissuto gli anni del terrorismo anarchico (che aveva fatto vittime eccellenti come lo zar Alessandro II nel 1881) e la prima Rivoluzione russa, quella del 1905, famosa per l’episodio della corazzata Potëmkin (che ispirò l’omonimo celeberrimo film del 1925, diretto dal famoso regista Sergej M. Ejzenstejn ), che portò alla nascita della Duma, il primo serio abbozzo di parlamento della storia russa e che, per le modalità e i suoi motivi e cause sottese, funse da premessa alle successive Rivoluzioni del 1917, quella di febbraio e la Rivoluzione bolscevica di Ottobre, che Tolstoj non poté evidentemente vedere e il cui punto di vista su di esse e le eventuali posizioni prese in merito sarebbe davvero stato interessante conoscere.

 

Con questa lunga premessa, non intendo quindi addentrarmi nello sterminato universo tolstoiano (riguardo al quale vi rimando a un ottimo speciale di Repubblica.it che troverete cliccando qui ), ma voglio solo proporvi una carrellata di letture e, come si evince dal titolo, di opere cinematografiche tratte da scritti tolstoiani divenute ormai anch’esse pietre miliari della cultura come l’opera letteraria da cui sono state tratte.

 

Il vasto repertorio letterario offerto da Tolstoj è stato spesso una ricca e proficua miniera a cui la settima arte ha copiosamente attinto. Basti pensare a film come la “Anna Karenina” di Clarence Brown del 1935, interpretata egregiamente da Greta Garbo , la migliore trasposizione cinematografica mai fatta del romanzo tolstoiano (purtroppo attualmente non in commercio), e all’omonimo successivo rifacimento di Julien Duvivier del 1948 (con Vivien Leigh e Gino Cervi ), oltre al famoso sceneggiato televisivo Rai diretto da Sandro Bolchi nel 1974.

 

Guerra e pace [titolo originale_War and Peace] (King Vidor – 1955)..jpgAltri film altrettanto famosi e importanti sono stati tratti anche (e soprattutto) da quella che, al di sopra di ogni dubbio è l’opera maggiore di Tolstoj: l’enciclopedico romanzo-epopea Guerra e pace .

Tra i film tratti da questo romanzo va assolutamente menzionata quella che ancora oggi è forse la versione cinematografica più famosa e conosciuta di quest’opera, il Guerra e pace del 1955, dove il regista statunitense King Vidor diresse un cast stellare: Audrey Hepburn nella parte di Natasha Rostova, Henry Fonda in quella di Pierre Bezuchov, Mel Ferrer in quella del principe Andrej Bolkonskj, Vittorio Gassman nella parte del subdolo principe Anatol Kuraghin, e Anita Ekberg in quella di sua sorella, l’ancor più spregiudicata Hélène Kuraghina.

  

Guerra e pace (Robert Dornhelm – 2007)..jpgAltrettanto degna di menzione è la monumentale trasposizione televisiva in 4 puntate del 2007, diretta dal regista austriaco Robert Dornhelm e co-prodotta da più nazioni, tra le quali l’Italia, con un cast internazionale e variegato (dagli italiani Alessio Boni e Andrea Giordana , Violante Placido e Valentina Cervi , all’inglese Malcom McDowell e al tedesco Alexander Beyer , fino alla francese Clémence Poésy , nel ruolo che fu di Audrey Hepburn) dove si incontrano buone prove attoriali e una certa aderenza al testo tolstoiano, seppur con qualche divagazione di carattere epico-romantica nella forma, e alcune tentazioni di tenore passionale e melodrammatico nel fluire della trama.

 

Nel complesso è comunque un’opera di pregio e di valore che merita di essere conosciuta e apprezzata, nonostante la quasi totale assenza del fondamentale aspetto della riflessione filosofica sul senso della vita e degli eventi, sulla possibilità di costruire il proprio destino e comprenderne il significato alla luce degli eventi che lo hanno determinato, aspetto che Tolstoj profuse ampiamente in questo romanzo.

Tema imprescindibile della poetica tolstoiana, che questo film ha sacrificato per privilegiare una normale narrazione, dall’aspetto didattico, quasi pedagogico, con la rappresentazione della società e dei suoi rituali nei gesti e nei comportamenti dei personaggi che si muovono al suo interno, tra monumentali scenografie e ricostruzioni di eventi storici.

 

In questa sede però, oltre ai succitati film tratti dai romanzi di Tolstoj, desidero soprattutto segnalarvi alcune delle migliori edizioni delle opere tolstoiane, che rendono meglio di altre la lettura (tutt’altro che facile e scontata) di questi capolavori agevole e piacevole, oltre che proficua a livello di cultura personale, con un ottimo commento critico e un capillare apparato di note al testo, strumenti questi che permettono di approfondire a più livelli e in modo più che soddisfacente ogni dubbio o incomprensione circa il testo e ogni altra curiosità sull’opera in questione.

 

Da questo punto di vista, “I Meridiani della Mondadori sono una vera e propria istituzione, un must per chi ama leggere e ama il libro anche come “oggetto” di pregio e non solo come contenitore di testi da strapazzare e “maltrattare”. Il loro prezzo alquanto alto è giustificato, oltre che dall’edizione pregiata nei materiali, anche e soprattutto per la completezza dei contenuti, con svariati approfondimenti, apparati di note al testo e commenti e saggi critici curati dai maggiori esperti di letteratura contemporanei e non solo.

 

La Mondadori nella collana “I Meridiani” ospita attualmente tre volumi di opere tolstoiane.

Si tratta della raccolta completa di tutti i racconti di Tolstoj, pubblicati per la prima volta in traduzione italiana in un’unica silloge, formata da due volumi, dal titolo Tutti i racconti [cofanetto 2 vol.] . Chi preferisce può acquistare separatamente ciascun volume dell’opera.

 

Nel primo volume Tutti i racconti – vol. 1 , troviamo, preceduti da “Introduzione”, “Cronologia”, “Criteri dell’edizione” e “Glossario”, i seguenti racconti:

 

-Memorie di un marqueur
-Racconti di Sebastopoli e racconti di guerra
– La tormenta
– Due ussari
– La mattinata di un proprietario terriero
– Lucerna
– Fiaba di come un’altra fanciulla Vàrin’ka…
– Tre morti
– Al’bèrt
– Idillio
– Polikuska
– Racconti dal Nuovo abbecedario e i Quattro libri russi di lettura

 

a cui seguono i racconti incompiuti del periodo 1851-1874, e un ricco apparato di “note ai testi”.

 

Nel secondo volume Tutti i racconti – vol. 2 , troviamo invece i seguenti racconti:

 

– Racconti popolari
– Le memorie di un pazzo
– Cholstomér
– La morte di Ivan Il’ic
– Camminate nella luce finché avete la luce
– Il padrone e il lavoratore
– Padre Sergij
– Due diverse versioni della storia di un’arnia dal tetto di tiglio
– Dopo il ballo
– La cedola falsa
– Alesa Bricco
– Kornej Vasil’ev
– Il divino e l’umano
– Perché?
– Cosa ho visto in sogno
– Racconti del Ciclo di lettura per bambini
– Il diavolo
– La saggezza dei bambini e le Conversazioni
– Canti al villaggio
– Tre giorni in campagna
– Senza accorgersi
– La buona terra
– Racconto per bambini
– Imitazioni e adattamenti, da Maupassant, Leskov, Victor Hugo, Bernardin de S. Pierre, Platone, Paul Carus
– Fiabe, parabole e leggende

 

a cui seguono i racconti incompiuti del periodo 1875-1910, un ricco apparato di “note ai testi” e una dettagliata e aggiornata “Bibliografia” finale.

 

I racconti sono importanti più di quanto si creda poiché la loro stesura si è sempre intersecata con quella dei grandi romanzi e delle altre opere maggiori sin dagli inizi, dal 1850 fino al 1910, l’ultimo anno di vita. Avendo essi attraversato e pervaso la carriera letteraria di Tolstoj lungo i suoi 60 anni di durata, proprio per questo divengono per i lettori una guida speciale per la sua esplorazione e conoscenza, permettendo di coglierne in tutte le sue fasi l’evoluzione dei temi affrontati e del registro stilistico, offrendo uno spaccato unico sulla vita artistica e intellettuale di Tolstoj.

 

Riguardo invece alle opere maggiori, ai romanzi che hanno fatto conoscere Tolstoj al grande pubblico e ne hanno decretato la fama internazionale, non esistono pubblicazioni de “I Meridiani”. Tra le normali edizioni economiche esistenti, personalmente preferisco, per bellezza grafica e ricchezza di contenuti extra, le Mondadori e le Einaudi.

 

Rimando quindi ad esse tramite questo elenco conclusivo di titoli di opere tolstoiane consigliate: dall’intramontabile Guerra e pace a Anna Karenina , dal celeberrimo La sonata a Kreutzer al capolavoro degli ultimi anni Resurrezione , summa del pensiero filosofico-religioso di Tolstoj applicato alla vita e alla scrittura, e insieme punto d’arrivo cruciale alla sua fase conclusiva col raggiungimento, nel periodo della maturità, della sua definitiva connotazione utopistica di carattere evangelico, al termine di una continua elaborazione di riflessioni e meditazioni che lo accompagnò per tutta la vita e la carriera letteraria.

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Sempre più giù nell’abisso della tv di regime – Pansa al tg1.

Cari lettori, ancora una volta mi vedo costretto a segnalare l’orrido abisso senza fine in cui la tv di Stato sta irrimediabilmente sprofondando, con riferimento specifico al solito Tg1 del solito direttore servo Minzolini, di cui in precedenza ho già abbondantemente parlato analizzandone il modo criminoso di condurre quella sottospecie di testata giornalistica (o le ceneri fumanti che ormai ne rimangono), se ancora si può definire tale.

 

Quel che oggi vi segnalo è un servizio, quello d’apertura della rubrica domenicale “Billy”, dedicata ai libri e al mondo dell’editoria. Questo servizio, andato in onda all’interno dell’edizione delle 13:30 di oggi, parla dell’ultimo vergognoso libro pubblicato da Giampaolo Pansa , che penso conosciate bene, dal momento che non perde un’occasione per infangare un pezzo importantissimo e fondamentale di storia d’Italia, la Resistenza e la guerra partigiana di liberazione dal giogo nazifascista, con il suo indecente e becero revisionismo, che porta avanti da molti, troppi anni con malcelata e irriverente soddisfazione, direi quasi voluttà.

 

Il servizio in questione consta di un minuto e venti secondi di elogio ed esaltazione dell’ultima creatura sfornata dalla penna criminale di Pansa, esteso poi a tutto il distorto background ideologico che costui si porta dietro, un servizio diretto in modo vomitevolmente fazioso e infarcito di un sacco di falsità, dei soliti luoghi comuni cari agli infami revisionisti, e di intollerabili distorsioni della verità storica.

Ecco quindi una sfilza di affondi e staffilate a tutta una serie di persone, di pezzi di storia, di luoghi, sia fisici sia dell’anima, e a tutto ciò che, a distanza di quasi settanta anni, dovrebbe costituire un cenacolo di memoria comune e condivisa da tutti. Ma evidentemente non è così, dal momento che esistono ancora esseri di indubbia immoralità come il Pansa, animati dalla voglia di infangare la memoria del nostro Paese, tentando di cambiare il corso della Storia riscrivendola a proprio piacimento in opere spregevoli, quali “I figli dell’Aquila”, “Il sangue dei vinti”, “Sconosciuto 1945”, “La grande bugia” e, da ultimo “I vinti non dimenticano. I crimini ignorati della nostra guerra civile” (quello presentato nel servizio in questione), che altro non sono che un collage di miriadi di apposite e furbe omissioni e false reinterpretazioni di fatti ed eventi storici che parlano da sé e che sono sotto gli occhi di tutti.

 

Ecco quindi alcune frasi del servizio incriminato. Si inizia con “puntata dedicata agli scrittori ragno, quelli che scalano le classifiche dei libri come l’uomo ragno i grattacieli: e cominciamo con Giampaolo Pansa e il suo ultimo libro”, poi “Pansa accende i riflettori su una pagina buia della guerra civile italiana, il sangue non solo dei vinti (i fascisti) ma degli innocenti”, “i libri di Pansa non piacciono a molti storici di professione […], gli rimproverano di lasciar scolorire il contesto, la dittatura fascista, gli riconoscono di essere un bravo comunicatore; Pansa risponde con la storia scritta dal basso”, e ancora “nel suo ultimo libro ricostruisce una mappa di crimini contro uomini e donne, molti non solo estranei al fascismo ma anche suoi fieri oppositori”, “sono storie di innocenti, strappati dalle loro case in una notte di maggio del 1945, spariti nel nulla, uccisi senza un processo, senza una colpa, senza pietà; senza un perché saremmo spinti a dire se non quello della follia della guerra, nella sua forma più perversa: la guerra civile”, intanto, durante quest’ultima frase sullo sfondo appaiono Togliatti durante un comizio, una bandiera del PCI, e uno Stalin impettito che saluta le folle, mentre la voce narrante continua così, “il perché che offre Pansa prevediamo innescherà un nuovo dibattito storico; il perché è nel disegno del PCI che nel 1943-1945 voleva instaurare in Italia la dittatura del proletariato” e, con affondo finale, “e per farlo praticò il terrorismo”.

 

Affermazioni criminali, parole taglienti come poche altre, che si giudicano da sole. Io posso solo aggiungere che Pansa NON risponde con la storia scritta dal basso, ma egli stesso con i suoi pseudo libri storici è una bassezza vivente e i suoi libri ne sono la prova inconfutabile, così infarciti di menzogne che oltraggiano senza scrupolo alcuno il sangue che in quei due anni 1943-1945 che tanto gli stanno a cuore fu versato invece per mano dei fascisti repubblichini che aiutavano costantemente le truppe tedesche nei loro genocidi e crimini di guerra, oltre alle vittime italiane e anche libiche e abissine che durante il ventennio dello spietato regime fascista furono seminate a migliaia, fino alle infami leggi razziali che, come pochi sapranno, nel 1938 sono state varate dallo Stato italiano addirittura due mesi prima di essere promulgate da Hitler in Germania: non dimentichiamo mai questa nera pagina di storia italiana, specialmente oggi, all’indomani del 67° anniversario del rastrellamento del ghetto di Roma, il 16 ottobre 1943, che provocò la morte nei campi nazisti di oltre mille ebrei romani.

È opportuno anche segnalare, in occasione di questa triste ricorrenza, un episodio passato un po’ troppo sotto silenzio, che coinvolge il già noto Ciarrapico, senatore (guarda un po’) del PdL e i suoi ideali dichiaratamente fascisti e  antisemiti; per questo evento rimando al seguente articolo di Repubblica .

 

L’infame revisionista che va ciarlando di “sangue dei vinti”, dimenticando volutamente il sangue che i vinti hanno sparso quando erano al potere, e che con i suoi libri-spazzatura trasforma i partigiani, i nostri liberatori, in criminali di guerra o anche peggio, carezzando invece i fascisti “vinti” come vittime sacrificali, alla stregua di poveri agnellini feriti e indifesi, ghermiti dall’orco comunista italo-sovietico; l’infame revisionista, che l’anno scorso, da ospite del programma Uno Mattina, pochi giorni prima del 65° anniversario dell’infame strage nazifascista di Sant’Anna di Stazzema, alla vigilia del ricordo dell’eccidio di ben 560 civili, ha osato parlare di “sangue dei vinti” e di incivile e barbarica ritorsione dei partigiani nei confronti dei fascisti; costui, dicevo, decisamente meriterebbe una bella accusa di vilipendio alla memoria storica, se tale accusa esistesse nell’ordinamento giuridico italiano.

 

Possiamo però difenderci da tutto ciò e l’unica arma democratica di difesa contro questa odiosa e offensiva campagna revisionista di Giampaolo Pansa , che negli ultimi anni ha avviato una sistematica campagna di riabilitazione di quella parte marcia del paese che ci ha trascinato negli orrori della seconda guerra mondiale, dei lager, degli eccidi, è la censura del pubblico dei lettori nei confronti di questi scellerati e spregevoli tentativi di distruggere e infangare la verità storica e la nostra memoria condivisa che ci unisce in un’unica grande repubblica democratica, figlia di quella guerra di liberazione e di quella Resistenza che Pansa tanto vilipende e oltraggia.

 

Anche se questa unità e democrazia italiane sono costantemente sotto attacco, dalla Lega secessionista al piccolo cavaliere Napoleone che occupa militarmente la tv pubblica, permettendo che uno come Minzolini faccia un uso criminale della poltrona che occupa, mandando in onda sulla rete ammiraglia della televisione pubblica una simile scelleratezza, uno scempio, un vero e proprio pugno nello stomaco, come quello a cui abbiamo assistito oggi durante il Tg1 delle 13:30.

 

NO AL REVISIONISMO E ALLE FALSITA’:

VERGOGNA SIGNOR PANSA E SIGNOR MINZOLINI!

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Premi Nobel 2010 – considerazioni e auspici

Cari lettori, siamo giunti alla settimana più attesa dell’anno da me e (credo) da tutti coloro che hanno interesse per il mondo della cultura, quella dell’annuncio dei Premi Nobel.

Siamo a metà percorso, tre dei sei Nobel sono stati assegnati, quelli riguardanti le materie scientifiche nei giorni ormai consueti: lunedì 4 il Nobel Prize in Physiology or Medicine a Robert G. Edwards con questa motivazione for the development of in vitro fertilization“, martedì 5 il Nobel Prize in Physics pari merito a Andre Geim e Konstantin Novoselov con motivazione for groundbreaking experiments regarding the two-dimensional material graphene” e oggi il Nobel Prize in Chemistry pari merito a Richard F. Heck, Ei-ichi Negishi e Akira Suzuki con questa motivazione for palladium-catalyzed cross couplings in organic synthesis“.

 

Mancano ancora all’appello i due più attesi, il Nobel Prize in Literature e il Nobel Peace Prize, che saranno annunciati rispettivamente domani alle 11 e venerdì alle 9; segue poi il Prize in Economic Sciences lunedì 11 ottobre alle 11.

È proprio su questi due premi che voglio soffermarmi e richiamare la vostra attenzione.

 

Come ogni anno inizia il gioco delle previsioni e delle scommesse su coloro ai quali verrà assegnato il Nobel per la letteratura. Quest’anno circolano i soliti nomi, che i bookmaker e la stampa fanno ormai tutti gli anni, però con una predilezione stavolta per i poeti: l’onnipresente poeta siriano Adonis , il poeta sudcoreano Ko Un, il polacco Adam Zagajewski, e scrittori non poeti come gli statunitensi Philip Roth e Joyce Carol Oates , oltre a Thomas Pynchon, Margaret Atwood, Alice Munro e A.S. Byatt, l’outsider paraguayano Nestor Amarilla, l’israeliano Amos Oz e la scrittrice algerina Assia Djebar; gli unici italiani, sebbene molto staccati in classifica, sono il solito Claudio Magris , Umberto Eco e, indietro, Antonio Tabucchi (da alcuni messo davanti a Eco e Magris, da altri addirittura nemmeno citato).

 

Facendo una summa delle varie classifiche che circolano si evince però un dato quasi unanime: che l’Accademia Reale di Svezia, presieduta dal suo segretario permanente Peter Englund (la commissione dei 16 accademici che deve assegnare il premio) sembra essere orientata su un poeta, nella fattispecie il poeta e scrittore svedese Tomas Tranströmer , che sarebbe il maggior candidato alla conquista del Nobel Prize in Literature 2010. Tranströmer, nato a Stoccolma nel 1931, figlio di un giornalista e di una insegnante, è considerato il maggiore poeta svedese vivente. La sua attività letteraria inizia a diciassette anni con la pubblicazione delle sue prime poesie. Per molti anni è stato uno psicologo.

 

 

La quaterna di scrittori, nella fattispecie poeti, più accreditata per la vittoria del Nobel per la letteratura è, in ogni caso, questa: lo svedese Tomas Tranströmer , il kenyota Ngugi wa Thiong’o, il giapponese Haruki Murakami e il siriano Adonis (in ordine decrescente di probabilità di vittoria).

Gli unici italiani, molto indietro, sono, come detto prima, Antonio Tabucchi , Claudio Magris e Umberto Eco ; quest’ultimo attira l’attenzione dell’Accademia Reale di Svezia non solo come romanziere, ma anche e soprattutto come studioso, esperto in vari campi dello scibile: Eco è infatti un semiologo, un filologo, un critico letterario, un saggista, un bibliofilo, un linguista.

 

Al termine di questa breve carrellata di previsioni, che hanno delineato un quadro d’insieme della situazione attuale riguardo al premio internazionale più importante che uno scrittore possa ricevere, a suggello di una carriera letteraria durata decenni, che ha contribuito alla crescita artistica della letteratura di una o più nazioni, desidero dire che, però, queste previsioni vengono praticamente sempre smentite dal verdetto dell’Accademia Reale di Svezia. Basti pensare all’anno scorso quando il Nobel venne assegnato ad una Herta Müller fino ad allora quasi del tutto sconosciuta alla gran parte del pubblico internazionale: ciò dimostra che il Nobel Prize in Literature non sempre viene attribuito utilizzandolo come potente strumento di valutazione della carriera di un autore che spesso ha già ha raggiunto fama e popolarità (come è stato per José Saramago , Günter Grass, Harold Pinter o Doris Lessing ) ma anzi spesso è un mezzo per dare visibilità a livello mondiale a un letterato che ha avuto una carriera artisticamente altrettanto valida ma non raggiunta dalla notorietà internazionale che gli sarebbe dovuta.

 

Concludo con una chiosa sulla situazione della letteratura italiana contemporanea, che non riesce ad entrare nelle grazie dell’Accademia Reale di Svezia, come è evidente dall’assenza di un Nobel per la letteratura italiano ormai da molti anni. A parte Dario Fo, premiato nel 1997, bisogna risalire ai Nobel del 1959 e 1975, rispettivamente Salvatore Quasimodo ed Eugenio Montale, per trovare uno scrittore italiano premiato (e che scrittori!).

 

Non è questa la sede né il momento per dibattere dello stato in cui versa la nostra letteratura odierna; ritengo però che non manchino letterati e scrittori italiani degni di ricevere questo prestigioso e ambito premio. Con tutto il rispetto per i nomi sopra citati, sia stranieri sia italiani, penso che Andrea Camilleri meriti pienamente questo Nobel.

Molti in questo momento staranno storcendo il naso leggendo questo nome. Un lettore non superficiale, che indaghi a fondo nello stile e nei contenuti della poetica di Andrea Camilleri , e soprattutto dia uno sguardo critico d’insieme a tutta la sua carriera letteraria e faccia un’analisi senza preconcetti della sua opera complessiva, si renderà conto che abbiamo davanti un vero maestro della letteratura che spazia da un genere all’altro di romanzi ed è capace di istrionismi stilistici e di trama quali da tempo non si vedevano nella letteratura italiana; un vero maestro che molti pseudo esperti e “addetti al mestiere” liquidano frettolosamente come “scrittore di genere” o semplicemente “un giallista” oppure “Camilleri chi? Quello di Montalbano?”.

 

 

Queste sono le mie considerazioni in merito al Nobel Prize in Literature 2010, che verrà annunciato domani, e i miei auspici. Speriamo che l’Accademia Reale di Svezia faccia la scelta giusta; in ogni caso vale quel che diceva la grande Katharine Hepburn , che di premi importanti ne ha vinti a iosa tanto da detenere ancora oggi il record di Oscar vinti: “I premi non contano niente: il mio premio è il mio lavoro”.

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Ora basta! La vergogna senza fine del tg1 di Minzolini.

Cari lettori, scrivo oggi un nuovo post per commentare quel che, purtroppo, ho visto e sentito oggi nel Tg1 delle 13:30. Il direttore servo del Tg1 Minzolini ha colpito ancora una volta, a tradimento.

 

A due terzi del telegiornale, tra la fine della pagina politica e di cronaca e l’inizio di quella dedicata ad argomenti più leggeri, spunta un servizio di 60 secondi dal titolo “Come cambia l’informazione” che, prendendo le mosse da una critica (apparentemente) generale e dalle maglie larghe sulla condotta tenuta dalla carta stampata durante questa rovente estate costellata di eventi e scandali politici, finisce nel giro di un paio di battute per trasformarsi in un vero e proprio linciaggio mediatico nei confronti del quotidiano “la Repubblica”, sottolineando con immagini di alcune prime pagine estive di questo quotidiano (riguardanti, casualmente, Berlusconi e la P3 e la crisi politica in atto) e con la voce narrante del servizio via via sempre più caustica, il fallimento dei “giornali-partito”, nella fattispecie Repubblica.

A supporto di questo presunto fallimento annunciato con malcelata gioia, facendo esplicitamente il nome di Repubblica, la voce del servizio porta come prove il crollo delle vendite di questo quotidiano: secondo loro un -7% nel primo semestre del 2010, che segue a un -8% registrato nel 2009 su base annua rispetto al 2008.

Dati, questi, enfatizzati in modo nauseante (con un’inquadratura ferma su pile di Repubblica accatastate sul bancone di un edicola, atta a trasmettere al pubblico in modo neanche tanto subliminale il messaggio che il giornale è afflitto da una crisi di vendite, tale da far sì che Repubblica rimanga invenduta e accumulata in pile sui banchi delle edicole) e strategicamente piazzati dopo la smentita dei cali d’ascolto del Tg1 (di cui Repubblica ha tante volte dato notizia) e dopo alcune staffilate sul modo fazioso (da che pulpito …) in cui il suddetto quotidiano ha trattato notizie riguardanti Berlusconi e abbia invece “dimenticato” di far menzione della “stangata della Consob ad alcuni membri della famiglia De Benedetti”, frase detta mentre l’inquadratura si fermava su un editoriale di Repubblica critico nei confronti del Tg1 dal titolo “Requiem per il pastone del tg” firmato da Filippo Ceccarelli.

A conclusione di questo vergognoso servizio, la seguente affermazione colma di sadico scherno: “l’appeal del giornale-partito italiano come lo conoscevamo finora sembra passato di moda: da radical-chic a radical-cheap”.

 

Oltre ad esprimere una sentita solidarietà a Repubblica e al lavoro serio e impegnato svolto dai suoi giornalisti, voglio fare un appello a tutti voi lettori e cybernauti:

quando vanno in onda questi telegiornali, entità servili indecorosamente prostrate e striscianti davanti al potente di turno travestite da finti organi di informazione, entità rette da personaggi vomitevoli, cortigiani servi del potere che trasformano un telegiornale in un indecente e continuo comizio pro domo berlusconiana, personaggi che non meritano di essere chiamati giornalisti dal momento che, con la loro condotta vergognosamente anti-professionale, nauseante e ignobile, infangano la categoria dei giornalisti, categoria alla quale sono appartenuti e appartengono professionisti del calibro della compianta Ilaria Alpi, per citarne una delle più significative sui tanti nomi di veri giornalisti che potrei fare, quando vanno in onda, dicevo, questi indecorosi e spregevoli teatrini che vengono chiamati “telegiornali”, spegniamo il televisore o cambiamo canale e togliamo audience a questi pagliacci e quaquaraquà, servi del nuovo Ministero della Cultura Popolare e paladini della disinformazione e della faziosità, e premiamo piuttosto il vero e sano giornalismo, quello di Repubblica (cartacea e su internet), del Tg3 di Bianca Berlinguer e di SkyTg24 e pochi altri.

 

Ora basta! Contro la disinformazione e la faziosità dei servi del potere ribelliamoci spegnendo i loro falsi telegiornali, come quello del signor Minzolini; e dico signor, poiché l’appellativo di giornalista implica una professionalità e una serietà che costui, come è evidente agli occhi dell’Italia intera, dimostra di non avere.

 

I veri giornalisti sono altri, signor Minzolini!

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Considerazioni sugli ultimi fatti – Minzolini, Gheddafi, contestazione a Schifani.

Cari lettori, a distanza di quasi quaranta giorni, mi ripresento sottoponendo alla vostra attenzione un nuovo post.

 

Voglio sorvolare, per il momento, sul discorso di Fini a Mirabello e il cataclisma politico (ancora in corso) che ne è seguito; me ne occuperò poi, quando la situazione, ancora in divenire ed estremamente mutevole, sarà più chiara e permetterà di poter fare una lucida e fredda analisi critica. Per il momento ritengo possa bastare quel che ho scritto nel mio ultimo post del 31 luglio per quanto riguarda quel che penso di Berlusconi e Fini, delle manovre di quest’ultimo e delle sue reali intenzioni.

 

Vari eventi, in particolare nell’ultima decade di agosto e nei giorni seguenti, soprattutto politici, mi hanno più volte tentato di scrivere un nuovo post; non l’ho fatto sia per il senso di incompletezza degli eventi stessi, che sono tutt’ora in divenire, sia per la stanchezza che la situazione politico-sociale italiana produce in me come, penso, accada nella stragrande maggioranza degli italiani.

I principali eventi che via via si sono succeduti in questo afoso fine agosto, eventi “tentatori” per la mia voglia di scriverne, sono stati i seguenti:

Ø  L’ennesimo Minzolini – show, consumatosi stavolta durante il programma Unomattina, nella puntata del 27 agosto.

Ø  L’altro show, questo targato invece Gheddafi, durante la visita a Roma tra il 28 e il 30 agosto.

Ø  La contestazione grillina e viola a Schifani durante la festa del PD a Torino, alla quale era stato invitato per prendere parte ad un dibattito-intervista moderato da Fassino, accaduta il 4 settembre.

Alla luce dei miei precedenti post, che penso siano eloquenti rispetto alle mie posizioni in merito a varie tematiche (e che spero abbiate letto e apprezzato), questi tre fatti si commentano da soli. Intendo, però, esprimere comunque le mie personali considerazioni su di essi.

 

L’intervista che il Diaco, sul quale non mi soffermo ma guardo e passo, ha fatto al direttore del Tg1, servo del potere come pochissimi altri in Italia, è semplicemente rivoltante. Sempre che di intervista si possa parlare dal momento che era sfacciatamente palese che quelle domande così faziosamente mirate e spesso già contenenti in sé la scontata risposta erano concordate (se non addirittura direttamente scritte da Minzolini). Il conduttore era semplicemente la spalla del direttore servo nell’attuazione del suo vero e proprio comizio filo-berlusconiano, dal momento che tale è stata questa finta intervista, ennesima occasione che il Minzolini ha colto per fare i suoi vomitevoli spot pro Berlusconi e farci vedere, casomai ce lo fossimo scordati, quanto è servo del potere politico che su quella poltrona lo ha collocato e senza il quale non sarebbe dov’è.

Viene solo da chiedersi quanto in basso potrà ancora scendere il servizio d’informazione della rete ammiraglia del servizio pubblico, dal momento che il prestigio del Tg1, finora primo organo di informazione televisiva nazionale, è ormai solo un pallido ricordo, una chimera, così gestito da un personaggio ambiguo e ambivalente che è stato capace di stravolgere e distruggere come pochi o nessuno erano riusciti a fare quel telegiornale, creando un ambiente claustrofobico e asfissiante che ha costretto alla fuga molti dei suoi giornalisti di punta, tutti simbolo della serietà, del prestigio e della credibilità di quell’organo di informazione, pregi questi costruiti e forgiati nel corso di decenni da direttori come, per citarne solo uno, Enzo Biagi.

Visto che ormai quando si accende il televisore si tratta di scegliere tra una schiera di telegiornali corrotti e sottoposti al berlusconiano Ministero della Cultura Popolare, che dice loro quali notizie dare o non dare e il modo in cui darle, se proprio dobbiamo assistere all’indecoroso spettacolo di telegiornali e giornalisti neanche degni di tale nome e scegliere uno di essi, tanto vale guardare il Tg4 di Emilio Fede, che della sua collusione col piccolo cavaliere Napoleone almeno non ne ha mai fatto mistero.

Per uno stralcio della finta intervista rinvio a questo video e a quest’altro articolo .

 

Arriviamo al secondo evento, il Gheddafi show che ha letteralmente travolto e stravolto Roma tra il 28 e il 30 agosto.

Ognuno di noi ha visto quel che è successo. L’Italia non era mai sprofondata così in basso. Quella non è stata una visita istituzionale, ma una parata esibizionista e populista volta ad appagare quelle due persone (uso questo termine perché Gheddafi non può essere certo chiamato capo di Stato), ad appagare il loro immenso e insaziabile ego.

Per tutta la sua storia passata Gheddafi non dovrebbe neanche mettere piede in Italia. Il piccolo duce cavaliere, invece, ha svenduto il nostro orgoglio di italiani e la nostra dignità, la nostra immagine e il nostro prestigio (o quel che ancora ne resta dopo oltre tre lustri di berlusconismo) di fronte al resto del mondo; ha svenduto tutto ciò al colonnello e ai suoi deliri esibizionisti, ha fatto inginocchiare di fronte a cotanto personaggio le nostre istituzioni e ci ha fatto piombare per tre giorni in un’atmosfera da pagliacciata che Roma non viveva dai tempi delle faraoniche parate mussoliniane, con tutto lo strascico di ridicolo che queste manifestazioni si portano dietro.

Se poi a tutto ciò aggiungiamo i discorsi strampalati fatti da Gheddafi e i suoi goffi quanto insulsi tentativi di proselitismo e le presunte conversioni all’Islam avvenute per merito suo quasi come dei miracoli, il quadro è completo e ognuno di noi si può benissimo rendere conto di quale figura vergognosa, indecente e indecorosa abbia fatto l’Italia di fronte al resto del mondo.

Mentre qualunque altra nazione darebbe tranquillamente un calcio nel sedere al colonnello, l’Italia governata dal piccolo Napoleone si è piegata in ginocchio davanti a lui e gli ha consentito di fare di Roma il palcoscenico per le sue buffonate: il piccolo duce e il colonnello, proprio una bella accoppiata! Due egocentrici, superbi e pieni di sé, uno col suo esercito di amazzoni e hostess, l’altro col suo seguito di escort (meno visibili ma comunque onnipresenti). Mi si conceda un’espressione un po’ fuori dalle righe che non è propria del mio stile, ma è proprio vero che l’Italia se ne sta andando a puttane.

Per saperne di più sulla visita di Gheddafi vi rimando ai seguenti articoli di Repubblica.it:

http://www.repubblica.it/politica/2010/08/30/news/gheddafi_fa_il_bis_con_le_hostess_farefuturo_siamo_la_sua_disneyland-6620582/ 

http://www.repubblica.it/politica/2010/08/29/news/la_visita_di_gheddafi-6588415/index.html?ref=search 

http://www.repubblica.it/politica/2010/08/30/news/gheddafi_imbarazzo_pdl-6613045/?ref=HREA-1 

e segnalo ancora un commento di Francesco Merlo .

Esistono poi dei retroscena che è bene conoscere dietro l’intesa vincente Berlusconi – Gheddafi, un vero e proprio affaire, come dettagliatamente descritto in questo articolo:

Un business da 40 miliardi per la Berlusconi-Gheddafi Spa .

 

Arriviamo infine al terzo evento, la contestazione grillina e del popolo viola a Schifani, nel corso di un suo intervento durante la festa del PD a Torino il 4 settembre.

Non intendo soffermarmi sui dettagli della bagarre, che ben conosciamo, ma desidero esprimere la mia più viva preoccupazione per la pericolosa china che la vita politica del nostro paese sta prendendo. Sappiamo tutti, o quantomeno immaginiamo, chi sia Schifani e abbiamo letto nel corso degli anni accuse e sospetti di vario tipo più o meno veritieri, come ne leggiamo praticamente per tutti gli uomini politici italiani. Il fatto però che il senso di rispetto delle istituzioni venga meno e ci si lasci andare a episodi del genere, che travalicano decisamente la legittima contestazione contro il potere, diritto inalienabile di ogni società e civiltà democratica, mancando di rispetto alle persone che esprimono un’opinione, mi preoccupa decisamente.

I contestatori si difendono, adducendo reazioni spropositate da parte delle forze dell’ordine, le varie cariche dello Stato e personalità di spicco di ogni partito di tutti gli schieramenti esprimono solidarietà a Schifani; Fassino (che stava intervistando Schifani durante la contestazione) chiama “squadristi” i grillini; Napolitano in persona deplora vivamente quanto accaduto; la Bindi incontra esponenti del popolo viola e tenta (pare con discreto successo) un approccio con alcuni di loro; Bersani, Fini e Cicchitto condannano l’accaduto.

Quel che invece mi sta a cuore evidenziare è la sconsiderata reazione dei soliti Di Pietro e Grillo, che non hanno ancora capito che a giocare con la piazza e con il malcontento popolare presto o tardi ci si scotta.

Di Pietro afferma “Sono semplicemente difensori della legalità, della democrazia e degli onesti cittadini. E’ ora di dire basta a questa ipocrisia imperante. Siccome molti si sono ritrovati ad avere, dalla mattina alla sera, importanti incarichi quali la presidenza del Senato o altre cariche istituzionali, si ritengono immuni da ogni critica”.

Ancora più sconcertante Grillo, che dice “Questo è solo l’inizio. Devono rendersi conto che è finita. Che si blindino con i poliziotti antisommossa, chiamino Maroni e l’esercito. Paghino la gente che va ai comizi per applaudirli. Oppure se ne vadano a casa” e ancora “Io non sono l’autore o il sobillatore, io interpreto quello che vedo e che sento: la gente non ce la fa più”, difende i suoi “sono persone educate, perbene che manifestano un pensiero assolutamente giusto” e rincara la dose attaccando anche Napolitano “Perché non prende le difese dei cittadini? Napolitano deve far rispettare la costituzione”.

Tutto ciò si commenta da solo, e la mia sottolineatura in grassetto di quella frase detta da Grillo non è casuale. Innanzitutto è l’inizio di cosa? E se questo è “solo l’inizio” cosa dovremo aspettarci a seguire? L’evocazione dell’esercito e delle forze antisommossa e della gente che “non ce la fa più”, porteranno solo ad una nuova stagione di odio politico e sociale, di violenza, di destabilizzazione. Solo che quei due non si rendono conto che, arrivati a questo risultato che si prefiggono, di destabilizzare la vita politica e sociale di questo paese instaurando un’atmosfera giacobina, la fantomatica massa in rivolta, assetata di vendetta, incontentabile, non più gestibile e ormai fuori controllo, gli farà fare la fine di tutti gli aizza popolo, da Cola di Rienzo e Savonarola a Robespierre (solo per citare alcuni tra i più famosi), rovesciati da coloro che credevano di poter manipolare e piegare ai propri fini. Senza considerare poi che sfruttare il malcontento generale per piegarlo ai propri fini di conquista del potere evoca i peggiori spettri del nostro passato recente, quelli dei totalitarismi del Novecento, con tutto quel che ne è tristemente conseguito.

A conclusione di queste mie considerazioni sull’increscioso evento di Torino faccio una citazione, di incerta attribuzione, ma che vale molto più di mille commenti: Non condivido la tua opinione, ma darei la vita perché tu possa esprimerla”.

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Considerazioni sull’attuale crisi politica – La frattura del PdL e lo scisma dei finiani.

Cari lettori, ancora una volta torno a occuparmi di argomenti di carattere politico, sentendo l’impellente bisogno di scrivere su quanto è successo tra la sera del 29 luglio e oggi; eventi tutt’ora in corso e in continua evoluzione.

Ecco qui di seguito alcuni link contenenti articoli esaustivi e aggiornati sugli argomenti di cui sto parlando:

http://www.repubblica.it/politica/2010/07/29/news/pdl_ore_contate_per_i_finiani_berlusconi_sceglie_la_linea_dura-5914604/

http://www.repubblica.it/politica/2010/07/30/news/fini_in_trincea_non_lascio_dovranno_trattare_su_tutto-5942004/

http://www.repubblica.it/politica/2010/07/30/news/berlusconi_mi_sono_tolto_un_peso_e_minaccia_di_tornare_alle_elezioni-5941860/

http://www.repubblica.it/politica/2010/07/30/news/fini_parla-5956177/

http://www.repubblica.it/politica/2010/07/30/news/reazioni-5959932/  [con contenuti audio e video]

 

Sull’ipotesi di elezioni anticipate:

http://www.repubblica.it/politica/2010/07/31/news/tentazione_ottobre-5967836/

http://www.repubblica.it/politica/2010/07/31/news/casini_nessuno_di_noi_andr_con_silvio_e_anche_per_il_secolo_il_premier_vuole_elezioni-5975662/

 

Per la diretta degli eventi in corso:

http://www.repubblica.it/politica/2010/07/30/dirette/berlusconi_mette_alla_porta_fini_verso_gruppi_parlamentari_autonomi-5944439/

 

Infine, un articolo ironico sulla grottesca situazione del PdL e un ottimo editoriale di Massimo Giannini,

http://www.repubblica.it/politica/2010/07/31/news/satyricon_crisi-5967834/

http://www.repubblica.it/politica/2010/07/31/news/fine_regime-5967833/

seguiti da un articolo sulla posizione del direttore servo del Tg1 Minzolini:

http://www.repubblica.it/politica/2010/07/29/news/minzolini_giustizia-5935444/?ref=HREA-1

 

Come era facile prevedere, la terza carica dello Stato ha scoperto le sue carte quando lo ha ritenuto opportuno e, ovviamente, ciò è avvenuto ex abrupto, cogliendo di sorpresa molti profani che guardano allo scenario politico dalla parte non degli addetti ai lavori ma dall’altra, quella degli spettatori più o meno attenti e consapevoli di ciò che li circonda; carte che Fini attendeva di lanciare sul tavolo sin dall’inizio della legislatura e della sua Presidenza della Camera.

Questo tempo è stato da lui trascorso in una continua (e ben celata, dietro il suo volto marmoreo e freddamente fermo e determinato) fibrillazione, aspettando al varco il suo bersaglio e obbiettivo politico, per colpirlo nel momento che avrebbe ritenuto per lui più propizio; il momento nel quale questa mossa, pronta per essere scagliata nell’agone partitico italiano, avrebbe creato una situazione e una catena inarrestabile di conseguenze, uno scompiglio dal quale egli avrebbe capitalizzato (politicamente parlando) quanto investito sottobanco nel corso degli anni, soprattutto gli ultimi, con le sue dichiarazioni sempre più al limite della linea generale del partito, i suoi dissensi via via sempre (volutamente) meno celati e più pungenti fino al limite della sopportazione del suo partito e, soprattutto del premier.

Questo atteggiamento, che cela una ben precisa tattica, si spiega da solo se consideriamo che nel caso del PdL si ha la totale identificazione tra il partito e il suo leader: il piccolo duce cavaliere Berlusconi. E questo è il nodo inestricabile che affligge da sempre questa formazione politica: la presenza di due galli in un pollaio; poiché tale è da considerarsi il PdL, nato dalla finta fusione di due partiti totalmente diversi nati e guidati da sempre da un solo e indiscusso leader.

 

Forza Italia era il feudo di Berlusconi, un partito che non ha mai indetto un vero congresso, un’armata napoleonica che per quasi tre lustri è stata appunto guidata sempre e solo da un piccolo Napoleone, detentore del 100% del potere decisionale, che mai alcuno ha minimamente osato mettere in discussione.

Alleanza Nazionale era altresì il regno di Fini, una sua creatura, nata dall’evoluzione (tutta di facciata) dell’ignobile MSI, accozzaglia di fascisti e neo-fascisti fondata il 26 dicembre 1946 con l’iniziale appoggio del generale fascista Graziani, punto di riferimento della destra pura e dura dal dopoguerra fino al congresso di Fiuggi, quello della svolta finiana del 27 gennaio 1995.

Questi due partiti-movimento uniscono le proprie forze in coalizioni che dovevano contrastare il fronte delle sinistre, il Polo della Libertà (al nord) e il Polo del buon governo (al sud) nel 1994 e la Casa delle Libertà nel 2001.

Nonostante le alleanze siglate con Berlusconi, Fini non ha mai perso di vista l’obbiettivo principe della sua carriera politica: divenire il leader del centrodestra italiano. Cosa che non è mai avvenuta a causa dello straripare del berlusconismo in tutte le sue forme, e delle inattaccabili e longeve “nozze” tra Berlusconi e gli italiani; nozze che gli hanno permesso di vincere tre volte le elezioni legislative (1994, 2001, 2008), nonostante l’alternarsi negli anni di vorticosi cali di popolarità e di altrettanto repentine e irresistibili ascese, quasi delle resurrezioni: come quella del 2008, dove un Berlusconi in crisi come non mai a un anno e mezzo di distanza dalla sconfitta del 2006 contro Prodi, fonda dal predellino di un’auto questo fantomatico PdL che, sull’onda dell’impopolarità del governo Prodi (che il suo monopolio mediatico di stampa e televisione ha fomentato in maniera ossessiva e vergognosa fino a inculcarla nelle teste di molti italiani), in seguito alla crisi e caduta del governo di centro-sinistra, stringe un accordo di coalizione a liste unificate con Alleanza Nazionale e a soli quattro mesi dalla sua nascita sul predellino stravince le elezioni politiche.

A ben pensarci è incredibile quel che è avvenuto a fine 2007, quando Berlusconi, il piccolo duce in crisi politica e personale, ormai inviso a quasi tutti i suoi ex alleati, con un atto politicamente a dir poco temerario, uccide Forza Italia, la sua creatura, e fonda dal nulla questo partito senza colore, senza identità, senza una linea, che, nonostante tutto ciò, pochi mesi dopo vince le elezioni.

Con Fini era ai ferri corti già da tempo dopo la sconfitta del 2006, Casini si era allontanato sempre più definitivamente da lui e anche Fini sembrava aver imboccato la stessa strada dell’Udc, in un clima di gelo tra i vecchi alleati, misto a reciproco disprezzo e ad attacchi incrociati sempre più violenti nei salotti televisivi, dove ormai gli esponenti di Forza Italia e Alleanza Nazionale sedevano in poltrone opposte, fino alla dichiarazione berlusconiana “La Cdl era una specie di ectoplasma” [26-11-2007, in collegamento telefonico con l’ assemblea azzurra di Milano] che pone un vuoto che sembrava ormai incolmabile tra gli ex alleati. Ma l’improvvisa caduta del governo Prodi, che coglie di sorpresa tutti gli schieramenti, impreparati ad elezioni così imminenti, sia il neonato PD che l’altrettanto giovane PdL, porta al rinnovamento dell’asse Berlusconi-Fini, che accetta di presentare con Berlusconi liste unitarie alla Camera e al Senato sotto l’insegna del PdL, per poi procedere al passo successivo: la fusione tra i loro due partiti in un unico soggetto politico leader del centrodestra italiano.

 

E qui si torna al nostro discorso iniziale, dopo questa alquanto lunga parentesi sinottica della recente storia politica del centrodestra italiano. Dicevo prima di questa situazione di due leader entrambi carismatici che si contendono la guida del partito e dello schieramento di cui fanno parte. È la natura stessa del PdL a determinare la situazione in cui ci troviamo in queste ore. Fondato su un predellino, non è altro che un cartello elettorale che Berlusconi ha creato con lo scopo di battere il PD nel 2008.

Fini lo sapeva benissimo, ovviamente, e ha approvato comunque quest’idea sciogliendo Alleanza Nazionale in questo nuovo partito. Forse sperava, in un futuro non troppo lontano, in un tramonto del berlusconismo e in un ricambio generazionale nella leadership del partito. O forse semplicemente stiamo assistendo ai soliti intrighi e giochi di palazzo che dominano i governi d’Italia sin dalla sua unificazione, quasi 150 anni fa. Giochi di palazzo che, per noi profani, sono difficili o impossibili da comprendere; tantomeno è (quasi) impossibile prevedere gli scenari futuri. In ambienti giornalistici già molti stanno con la calcolatrice in mano a fare le sottrazioni e le addizioni di deputati e senatori, considerando le varianti e gli scenari più disparati, come ai tempi del II governo Prodi, quando ad ogni votazione si stava in ansiosa attesa fino all’ultimo voto.

 

Il PdL non è diventato quel moderno partito di centrodestra che molti speravano, un partito conservatore di ampio respiro che si rifacesse alla tradizione conservatrice europea. Fini si è semplicemente reso conto che la sua Alleanza Nazionale non si è fusa con Forza Italia, ma è stata annessa a Forza Italia, facendo del PdL una evoluzione di quel partito di stampo napoleonico che continua a essere retto con pugno di ferro dal piccolo Napoleone di Arcore (ghe pensi mi).

Berlusconi non ha però messo in conto che con l’annessione del partito di Fini si stava mettendo nel suo feudo un altro leader dal pugno di ferro, che ha accettato la fusione del proprio partito con la speranza e la previsione di una sua futura leadership; visto però che Berlusconi è ben lungi dal lasciare il potere, Fini dall’inizio della legislatura ha attuato una strategia della tensione, ora più silenziosa ora più esplicita, fatta di dissensi, atti e dichiarazioni provocatorie, volti unicamente a far cedere i nervi del “leader maximo” del partito e provocarne una reazione inconsulta che mettesse davanti agli occhi degli italiani la crisi del dogma berlusconiano del pensiero unico e del capo indiscusso, e facesse vedere a tutti che esiste un’altra corrente di pensiero, una leadership alternativa nell’ombra, che è pronta a uscirne e imporsi in qualsiasi momento.

La conclusione è, come detto sopra, che ci sono due galli troppo carismatici e agguerriti in un pollaio troppo piccolo per contenerli entrambi. Il piccolo Napoleone Berlusconi, abituato al suo partito-feudo inattaccabile e al pensiero unico del capo solo e indiscusso, il cui potere al suo interno nessuno osa mettere in discussione; e, dall’altra parte, il nuovo duce Fini, il delfino di Almirante, che negli anni Novanta da segretario del MSI prima e di AN dopo teorizzava il fascismo del 2000 e propugnava un ritorno al passato, una resurrezione (o, a seconda dei punti di vista, una riesumazione) dell’ideologia fascista.

Comunque vadano le cose, non voglio dilungarmi in previsioni sul futuro del governo, o di Fini, o di Berlusconi, o delle opposizioni, o di elezioni anticipate, o se siamo ormai giunti alla vigilia del 25 luglio, e via dicendo. Fa sempre piacere vedere qualcuno che finalmente riesce a contenere lo strapotere di Berlusconi e a metterlo in seria difficoltà; non dimentichiamoci però chi è davvero Fini, da dove viene e quali sono veramente le sue intenzioni e idee politiche, non lasciamoci incantare dalla favola di colui che tiene testa alle debordanti pretese berlusconiane di dittatura soft, fatte di bavagli a stampa e giustizia, per salvaguardare la nostra libertà, di colui che ci libera dal regime berlusconiano, da costui che vuole controllare tutto e tutti, magistratura, stampa, Quirinale, vuole stravolgere la Costituzione repubblicana, vagheggia presidenzialismi alla francese.

Se Berlusconi è animato da spirito napoleonico, invece Fini, dietro quel volto marmoreo, freddo e calcolatore, nasconde intenzioni chiaramente fasciste: se ora si ribella, provoca scissioni interne al suo schieramento e dice cose contro Berlusconi lo fa col solo e unico scopo di ottenere il potere. Una volta ottenuto il potere tutti vedranno di che pasta è fatto Fini e quali sono le sue reali intenzioni; la Storia, magistra vitae, (soprattutto quella dell’ultimo secolo) ce lo insegna e questo non deve essere mai dimenticato dalle generazioni future.

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Considerazioni sugli ultimi scandali – La nuova P3.

Cari lettori, nel mio ultimo post, pubblicato appena sei giorni fa, nel tracciare una analisi, ovviamente senza pretese didattiche o simili, ad un certo punto ho menzionato un aspetto troppo taciuto e sottovalutato del passato di Berlusconi: la sua iscrizione alla loggia P2. Tutt’ora, a distanza di circa trent’anni, il venerabile Gran Maestro della famigerata loggia segreta non fa mistero delle simpatie che nutre per il suo pupillo e delle speranze che in lui ripone per l’attuazione dei suoi criminosi piani di destabilizzazione e distruzione della democrazia italiana, a suo tempo scoperti e sventati.

Appena sei giorni dopo quel post, sulle prime pagine di quasi tutti i giornali leggiamo titoli e articoli di cronaca dai quali emerge uno scenario di cricche e addirittura di nuove logge segrete tale da farci ripiombare con la mente alla situazione dei primi anni Ottanta. Sembra di leggere i quotidiani di trenta anni fa, ma purtroppo si tratta di una situazione che stiamo vivendo adesso, in questo momento. Lo scenario che si profila è, se possibile, addirittura peggiore di quello passato.

 

Rimando a questi articoli apparsi su Repubblica.it per informazioni chiare ed esaurienti sulla vicenda cui faccio riferimento:

http://www.repubblica.it/politica/2010/07/15/news/verbali_p3-5595001/?ref=HREA-1

http://www.repubblica.it/politica/2010/07/16/news/corruzione_cesare-5618005/?ref=HREA-1

http://www.repubblica.it/politica/2010/07/16/news/cesare_dieci_frasi-5618007/

http://www.repubblica.it/politica/2010/07/16/news/verbali_i_magistrati-5618571/

 

Si parla di nuova P3 e di un sistema di potere imperniato sulla figura di Berlusconi. La differenza è che Licio Gelli non è mai stato capo dell’esecutivo o ha ricoperto incarichi istituzionali mentre tramava con i suoi amici alle spalle dello Stato democratico. L’elemento di sconcerto è il fatto che invece il capo di questa nuova loggia, il referente principale di questa rete di personaggi che agiscono con finalità illegali che ben possiamo immaginare, stando alle notizie che insistentemente circolano, è il Presidente del Consiglio attualmente in carica. È vero che dal 1994 ad oggi Berlusconi ci ha abituato a tutto, ad ogni genere di accuse rivoltegli nei vari processi in cui è imputato, processi che spuntano come funghi, non fa in tempo a “sistemare” (tra virgolette chi vuol capire capisca) uno che subito ne spunta un altro; riesce però sempre a superare se stesso nel farci vedere in quanti imbrogli è implicato.

Questo scandalo della nuova P3 non fa che confermare quanto nel mio post precedente ho affermato a proposito dell’alone di mistero che avvolge da sempre le faccende in cui è invischiato Berlusconi: sono cose che tutti sanno o comunque possono immaginare e nessuno può (o molto probabilmente vuole) dire.

All’estero cadono interi governi per molto meno, ministri e premier che si dimettono per poche migliaia di euro sottratti alle casse dello Stato, oppure per un utilizzo improprio delle carte di credito del ministero per acquistare qualche capo d’abbigliamento o cose simili. Personalità della statura politica di Helmut Kohl, l’artefice della riunificazione delle due Germanie, una sorta di padre della patria tedesca, e molti altri nel resto del mondo, sono state spazzate via da scandali che in Italia fanno sorridere, dal momento che nel nostro paese i governanti restano attaccati alla poltrona come la cozza allo scoglio di verghiana memoria, anche in presenza di indagini e accuse esplicite e fondate di corruzione, associazione a delinquere, concussione, collusione con le mafie e via dicendo.

Negli Stati Uniti come in Gran Bretagna, Germania, i paesi scandinavi, si ha il buon senso di dimettersi in presenza anche solo del sospetto di essere coinvolti in qualche indagine di alcun tipo; in Italia invece si creano appositamente poltrone per sfuggire alla giustizia e insabbiarla con decreti e scudi di ogni genere: si pensi alla disgustosa vicenda del caso Brancher, esempio lampante non solo di malcostume e malaffare, di vituperio delle istituzioni repubblicane e del loro prestigio, ma anche di ignominiosa offesa all’intelligenza dei cittadini.

Evidentemente all’estero i governanti hanno ben presente il fatto che occupano quella poltrona per servire i cittadini che gli hanno permesso di ottenerla; non che lì sia tutto rose e fiori, però in Italia questa consapevolezza del senso civico, del significato che ha occupare una carica di governo non c’è mai stato, la consapevolezza della responsabilità di essere amministratori della res pubblica non è mai esistita e non ha sfiorato neanche le menti dei nostri politici.

In Italia essere sindaco, assessore, consigliere, presidente di provincia o regione, deputato, senatore, ministro della Repubblica, Presidente del Consiglio, significa solo una cosa: pensare ai propri interessi e a quelli dei compagni di merende, fregandosene altamente dei cittadini che li hanno votati e gli permettono di ricoprire quel ruolo pubblico.

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Libertà di parola e di pensiero.

Cari lettori, oggi, all’indomani del giorno della protesta di tutti i giornalisti, della carta stampata, della televisione, della radio e dei siti internet, lo spazio “Prospettiva Nevskij” desidera esprimere piena solidarietà e stima al mondo dell’informazione, colpito ora come non mai, come non si accadeva dai tempi bui dei primi anni Venti del Novecento.

È un gesto estremo, l’ultima spiaggia per dissentire in modo pacifico, prima che si arrivi alla fine della libertà di informazione e di parola. L’altra volta, nella storia italiana, in cui il bavaglio è stato posto sulla bocca delle voci libere assieme, di conseguenza, a una pietra tombale sulla democrazia, ci è rimasto per parecchio e ci sono voluti oltre venti anni di soprusi di regime, una guerra mondiale persa in partenza e una guerra di Resistenza per levarlo dalle bocche su cui era stato imposto.

In molti giudicano catastrofisti questi paragoni con la situazione politico-sociale italiana della prima metà del secolo scorso; a tutti costoro consiglio vivamente un ripasso dei testi di storia. La storia, una delle materie che sempre più in questi anni di regime soft, che ormai dura a fasi alterne dal 1994, è stata spesso sottoposta agli attacchi revisionisti di questo governo illegale, che spesso ha ventilato la volontà di riscrivere i testi scolastici in senso revisionista, sostenendo che essi sono stati scritti e concepiti in un’ottica comunista, dopo la fine della guerra. E si sa benissimo dove si va a finire quando si vuole minare alla base la memoria di una nazione e del suo popolo, è l’anticamera della dittatura; non a caso di matrice marxista è da lui ritenuta anche la Costituzione repubblicana, che infanga quotidianamente con le sue dichiarazioni e le sue velleità di premierato forte, riforma in senso presidenzialista alla francese e altre scempiaggini che vanno a parare in una sola direzione: mani libere per sé e i suoi amici di fare quel che gli pare e piace, senza poter essere perseguiti dalla giustizia, a spese dei cittadini onesti.

 

Un governo illegale, retto da un personaggio che vive nell’illegalità e che naviga beato fra i frutti delle sue leggi illegali. Il paradosso è che il termine che più è stato pronunciato, scritto, usato in mille modi, e urlato in questi ultimi quindici anni è “libertà”. Si è iniziato nel 1994 con il “Polo della Libertà”, si è continuato con la famigerata “Casa delle Libertà” nel 2001, fino ad approdare al “Popolo della Libertà” nel 2008. Quest’ultimo addirittura è stato fondato alla stregua di un lancio pubblicitario dal predellino di un’auto.

Sempre onnipresente questa “libertà”, dove va Berlusconi c’è sempre qualche “libertà” di mezzo. È arrivato ad affermare che i tempi sarebbero maturi per trasformare, fare “evolvere” la festa della Liberazione (25 aprile) in “festa della Libertà”; quasi si trattasse della festa del suo partito del predellino, e non della celebrazione della liberazione dall’oppressione nazifascista, ottenuta col sangue versato dai partigiani immolatisi per la democrazia, sangue che, evidentemente, non ha alcun valore per lui e il suo manipolo di compagni di merende. Quel che italiani non hanno capito (o forse non hanno voluto capire nemmeno di fronte all’evidenza) dal 1994 ad oggi è che si tratta della sua libertà, non certo della nostra. Montanelli sosteneva che gli italiani avevano bisogno di una cura per rendersi conto della vera natura di questi governi: la cura era il vivere sotto questi governi, sperando che di fronte alle azioni di questo intraprendente premier, dopo un quinquennio, essi si rendessero conto di ciò che è veramente quest’uomo. Ma si sbagliava, perché Berlusconi non ha mai smesso di ripresentarsi alle elezioni e ha continuato a vincere.

 

La forza di Berlusconi sta nel “berlusconismo”, una forma soft ma non per questo meno efficace di assuefazione delle masse ad un messaggio politico, sociale, morale e di costume (in questo caso bisogna dire “immorale”). A ben vedere, con la sua politica di acquisizione selvaggia e spesso illegale (il numero di processi per corruzione a suo carico la dice lunga su questo aspetto) di aziende leader in vari settori, telecomunicazioni e editoria sopra tutti (si pensi all’affaire Mondadori o alla situazione di perdurante illegalità in cui vive Rete4, fregandosene di una sentenza della Corte di giustizia Ue che afferma che essa trasmette in modo illegale su frequenze non sue ma di proprietà di Europa 7) Berlusconi, sin da quando era un semplice rampante imprenditore con le amicizie giuste nei posti giusti, ha creato un sistema vorticoso in cui ha fatto precipitare l’intera nazione, stordendone il popolo e degradandone i costumi con i modelli sociali depravati (veline, tronisti, grande fratello) e le chimere proposti dalle sue reti televisive e, da quando è entrato in politica, con il modello della propria condotta di vita, con la continua autocelebrazione della sua personalità, il suo spirito goliardico, il suo “gallismo” in materia di donne, la barzelletta sempre pronta (forse in molti non sanno che anche Hitler era un rinomato barzellettiere e un affabile simpatico conversatore), il tutto senza che la stragrande maggioranza degli italiani se ne rendesse conto.

Un sistema, una micidiale macchina di consenso degna di Mussolini, al quale si rifà grottescamente anche nei gesti, nella postura, nei discorsi: il tutto in modo molto sottile, che un occhio attento smaschera, ma purtroppo le masse non hanno mai avuto questa consapevolezza (la storia del Novecento ne è un esempio lampante) e continuano a non averla. È evidente che ogni popolo ha il governo che si merita.

 

Già in tempi non sospetti egli si spianava la strada al potere con la creazione del suo impero economico, le modalità con le quali esso è stato fondato appartengono a quella categoria di “cose” che tutti sanno o comunque possono immaginare e nessuno può (o molto probabilmente vuole) dire. Si sa che chi ha i soldi vuole il potere, esso la naturale conseguenza del potere economico. Non dimentichiamo d’altronde che il caro Silvio era nella lista della famigerata Loggia P2 e che tutt’oggi il venerando Gran Maestro della loggia segreta non manca di dispensare consigli al suo (non so quanto) ex adepto, sostenendo testualmente a proposito di Berlusconi e del suo “Piano di rinascita democratica” che: il premier è “l’unico che  può andare avanti non perché era iscritto alla P2 ma perché ha la tempra del grande uomo che ha saputo fare, anche se ora è in momento di debolezza perché usa poco la maggioranza parlamentare” [articolo apparso su Repubblica.it il 31 ottobre 2008; http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/politica/gelli-rinascita/gelli-rinascita/gelli-rinascita.html]. Conosciamo benissimo le idee di Gelli e il trattamento che il suo criminale “Piano di rinascita democratica” riservava in particolare alla stampa e alla magistratura. Per rinfrescare la memoria rimando a questo link, http://www.misteriditalia.it/loggiap2/ dove esso può essere letto e consultato insieme ad altro materiale.

L’elenco dei mali del berlusconismo sarebbe infinito, così come gli esempi dei quotidiani scandali che travolgono il premier e i suoi amici, le leggine e gli emendamenti salva-questo o salva-quello e le condizioni in cui è ridotto il sistema dell’informazione televisiva, non solo Mediaset (questo si sapeva) ma anche e soprattutto della Rai, il servizio pubblico (con l’eccezione della solita rete non allineata, Rai Tre, ultimo baluardo di libertà in tv), con i telegiornali affidati a cortigiani, a servi di palazzo che oscurano la verità e danno solo le notizie che fanno comodo a Berlusconi, tacendo invece le verità scomode, servi del potere che seguono diligenti le direttive date loro da chi gli ha regalato quel posto, alla maniera del Ministero della Cultura Popolare di fascista memoria, che non meritano l’appellativo di “giornalista” e che infangano l’intera categoria, composta per fortuna da molti che questo mestiere lo fanno in modo corretto e coerente al di sopra delle parti.

A conclusione di questo pezzo mi sta a cuore dire a gran voce a Berlusconi e ai suoi, a nome di tutti gli italiani onesti:

 

no alla legge bavaglio, giù le mani dalle intercettazioni e dalla libertà di stampa, chi è onesto e non ha scheletri nell’armadio non teme le intercettazioni.

Come ha dichiarato Roberto Saviano su Repubblica.it: “La legge bavaglio non è una legge che difende la privacy del cittadino, al contrario, è una legge che difende la privacy del potere”.

 

NO AI SEGRETI DELLE CRICCHE, SI ALLA DIFFUSIONE DELLA VERITÀ,

SI ALLE INTERCETTAZIONI

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Brevi considerazioni sul premio Strega.

Pochi giorni fa, come da tradizione, il primo giovedì di luglio si è svolta al ninfeo di Villa Giulia a Roma la cerimonia di consegna del premio Strega, con il consueto spoglio in diretta televisiva delle schede coi voti dei quattrocento “Amici della Domenica” che formano la giuria.

Non dico sicuramente nulla di nuovo, però voglio comunque esporre alcune considerazioni in merito alle modalità di assegnazione del premio stesso. Non è una novità che a contendersi il premio siano non cinque libri né cinque scrittori, ma cinque case editrici. I romanzi finalisti e i loro autori non sono altro che candidati della propria casa editrice, quasi fosse un’elezione politica, una corsa alla conquista di una carica istituzionale; di conseguenza quello che è unanimemente o quasi ritenuto il riconoscimento più ambito d’Italia per scrittori di prosa narrativa, viene a conformarsi come una guerra tra case editrici, dove è molto più di un dubbio che a prevalere sia non il reale valore artistico di un opera letteraria quanto il peso di questo o quell’altro editore.

Considerato poi il sistema delle case editoriali in Italia, simile alla conformazione del sistema radiotelevisivo italiano, dove vi è un singolo soggetto che ha il predominio in quel campo e pochi altri che a fatica tentano di affiancarvisi, inutilmente, fatico quindi a dare al premio Strega l’importanza e la rilevanza che gli viene attribuita. Guarda caso con “Canale Mussolini” di Antonio Pennacchi, vincitore di quest’anno, la Mondadori si ritrova alla quarta vittoria consecutiva: è infatti dal 2007 che il premio Strega è sempre in mano a questa holding di case editrici, con “Come Dio comanda” di Niccolò Ammaniti, seguito poi da “La solitudine dei numeri primi” di Paolo Giordano (2008), “Stabat Mater” di Tiziano Scarpa (2009), fino al già citato “Canale Mussolini” di Pennacchi nel 2010. Da notare che “Stabat Mater” del 2009 non è pubblicato dalla Mondadori ma da Einaudi, quindi non cambia assolutamente nulla, visto che la Einaudi è una delle tante case editrici che appartengono e gravitano attorno a questa holding (di proprietà di un noto personaggio politico), che detiene la golden share dell’editoria italiana. Bisogna anche dire che è saltata la regola implicita dell’alternanza, che vigeva finché a reggere le sorti del premio era Anna Maria Rimoaldi, regola che disciplinava le pretese degli editori facendo vincere un anno l’uno, un anno l’altro, riservandosi a piacere il diritto di favorire talvolta un terzo gruppo, un editore per così dire outsider; da quando però quella norma implicita è decaduta ha sempre vinto il gruppo Mondadori.

Premesso che con ciò non affermo che i suddetti quattro romanzi siano artisticamente di poco valore, in particolare ho gradito “La solitudine dei numeri primi” e ancora di più “Stabat Mater” (ma questa è questione di gusti personali), con questo pezzo intendo esprimere il disagio che provo di fronte a una situazione alquanto imbarazzante, situazione sotto gli occhi di tutti, vale a dire gli interessi economici e non solo, che gravano sull’assegnazione di questo premio e che, a mio avviso, inquinano il suo esito, svilendo agli occhi di molti lettori e scrittori i testi vincitori.

I riflettori sono puntati tutti sulla giuria, questa congrega dei quattrocento “Amici della Domenica”, formata da scrittori e critici letterari, oltre che da decine di altri intenditori, o presunti tali. Nelle loro mani è posto il risultato di questa competizione, la scelta per questa o quella “fazione”, con le conseguenze che ben sappiamo. Lo scenario che ogni anno ci si trova davanti è una giuria suddivisa in pacchetti di voti blindati, giurati che già sanno per chi votare, poiché non hanno un metro di giudizio se non quello della casa editrice di riferimento, giurati che neanche leggono i libri in gara, nemmeno quello che già hanno deciso di votare: l’importante è che sia pubblicato dall’editore che interessa loro; possiamo ben immaginare perché quell’editore gli “interessa”, a voler essere malpensanti, ma sorvoliamo; il vero dramma è che gran parte dei giurati vota libri di cui non ha letto mezza pagina. Esistono addirittura giurati che, se non trovano il romanzo che per qualche ragione gli interessi non vanno neppure a votare.

 

A titolo di approfondimento di questo aspetto cruciale dei meccanismi che sottendono al premio Strega segnalo due articoli apparsi su Repubblica nei giorni scorsi, consultabili sul sito di Repubblica:

COME SI VINCE UN PREMIO Editor, relazioni e voti: così si diventa padroni dello Strega Repubblica — 03 luglio 2010   pagina 36   sezione: CULTURA

e

Io, giurato dello Strega prigioniero dei raccomandati

Repubblica — 03 luglio 2010   pagina 137   sezione: PRIMA PAGINA

 

Ciò che mi irrita è il vedere, durante la consueta diretta televisiva in seconda serata sulla rete ammiraglia della Rai, avvicendarsi ai microfoni dei conduttori di quella diretta, oltre ai dirigenti e proprietari delle case editrici, anche e soprattutto personaggi del mondo della politica, troppi per i miei gusti, che ivi si trovano solo perché sono l’attuale sindaco di Roma oppure l’ex sindaco di Roma, il ministro della cultura o qualunque altro esponente di governo. La loro presenza, e le affermazioni che rilasciano ai giornalisti presenti, la dicono lunga sulla piega che questo premio prende e sull’esito finale. Ormai sempre più spesso in ambienti del mondo della cultura che qualcuno in gergo politico definirebbe “antagonisti”, si parla di “premio Mondadori” per designare il premio Strega.

Al termine di tutte queste considerazioni, un pensiero mi attraversa la mente, senza intenti né venature polemiche: non ho letto “Canale Mussolini” né “Acciaio”, però mi avrebbe fatto piacere che la Avallone, un’esordiente di 25 anni, laureanda in lettere e, soprattutto, precaria, avesse avuto la soddisfazione di vincere questo tanto ambito premio, che le sarebbe servito da trampolino di lancio in un paese come l’Italia dove il mestiere di scrittore è difficile, se non impossibile, a tutte le età ma in particolare per gli esordienti, soprattutto se giovani, rispetto a Pennacchi, che ha già una carriera letteraria di lungo corso alle spalle e di riconoscimenti e soddisfazioni personali ne ha già avute.

 

A conclusione di questo pezzo cito un episodio risalente alla cerimonia di assegnazione del premio Strega 2007: erano presenti, tra gli altri, anche gli allora ministri della Cultura, Rutelli, e della Giustizia, Mastella; quest’ultimo mi colpì in particolare, poiché alla domanda sul libro che avrebbe scelto come vincitore, si espresse a favore di Niccolò Ammaniti e del suo “Come Dio comanda”, dando una motivazione che probabilmente a lui sarà parsa sensata ma a me (e scommetto a molti altri) è risultata sconcertante: dal momento che in gara c’era un libro dal titolo “Mal di pietre”, di Milena Agus, disse che, vista l’assonanza di quel titolo col nome di un altro esponente politico e compagno di governo, quel Di Pietro col quale era in una fase acuta di guerra all’interno del governo di allora, preferiva scegliere piuttosto “Come Dio comanda” che più si addiceva alla sua natura cattolica e democristiana. Davvero una bella motivazione!

Leggere i libri in gara prima di giudicarli, al fine di fare scelte sensate e coerenti, questo al caro Mastellone proprio non era sovvenuto; d’altronde non era neanche suo compito leggere i libri, lui si trovava lì in quanto ministro e politico e, come tale, era tenuto a fare ai microfoni che gli si accostavano il suo dovere di bravo dispensatore di scemenze, delle quali per fortuna nessun politico italico è sprovvisto, anzi!

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