Brevi considerazioni sul premio Strega.

Pochi giorni fa, come da tradizione, il primo giovedì di luglio si è svolta al ninfeo di Villa Giulia a Roma la cerimonia di consegna del premio Strega, con il consueto spoglio in diretta televisiva delle schede coi voti dei quattrocento “Amici della Domenica” che formano la giuria.

Non dico sicuramente nulla di nuovo, però voglio comunque esporre alcune considerazioni in merito alle modalità di assegnazione del premio stesso. Non è una novità che a contendersi il premio siano non cinque libri né cinque scrittori, ma cinque case editrici. I romanzi finalisti e i loro autori non sono altro che candidati della propria casa editrice, quasi fosse un’elezione politica, una corsa alla conquista di una carica istituzionale; di conseguenza quello che è unanimemente o quasi ritenuto il riconoscimento più ambito d’Italia per scrittori di prosa narrativa, viene a conformarsi come una guerra tra case editrici, dove è molto più di un dubbio che a prevalere sia non il reale valore artistico di un opera letteraria quanto il peso di questo o quell’altro editore.

Considerato poi il sistema delle case editoriali in Italia, simile alla conformazione del sistema radiotelevisivo italiano, dove vi è un singolo soggetto che ha il predominio in quel campo e pochi altri che a fatica tentano di affiancarvisi, inutilmente, fatico quindi a dare al premio Strega l’importanza e la rilevanza che gli viene attribuita. Guarda caso con “Canale Mussolini” di Antonio Pennacchi, vincitore di quest’anno, la Mondadori si ritrova alla quarta vittoria consecutiva: è infatti dal 2007 che il premio Strega è sempre in mano a questa holding di case editrici, con “Come Dio comanda” di Niccolò Ammaniti, seguito poi da “La solitudine dei numeri primi” di Paolo Giordano (2008), “Stabat Mater” di Tiziano Scarpa (2009), fino al già citato “Canale Mussolini” di Pennacchi nel 2010. Da notare che “Stabat Mater” del 2009 non è pubblicato dalla Mondadori ma da Einaudi, quindi non cambia assolutamente nulla, visto che la Einaudi è una delle tante case editrici che appartengono e gravitano attorno a questa holding (di proprietà di un noto personaggio politico), che detiene la golden share dell’editoria italiana. Bisogna anche dire che è saltata la regola implicita dell’alternanza, che vigeva finché a reggere le sorti del premio era Anna Maria Rimoaldi, regola che disciplinava le pretese degli editori facendo vincere un anno l’uno, un anno l’altro, riservandosi a piacere il diritto di favorire talvolta un terzo gruppo, un editore per così dire outsider; da quando però quella norma implicita è decaduta ha sempre vinto il gruppo Mondadori.

Premesso che con ciò non affermo che i suddetti quattro romanzi siano artisticamente di poco valore, in particolare ho gradito “La solitudine dei numeri primi” e ancora di più “Stabat Mater” (ma questa è questione di gusti personali), con questo pezzo intendo esprimere il disagio che provo di fronte a una situazione alquanto imbarazzante, situazione sotto gli occhi di tutti, vale a dire gli interessi economici e non solo, che gravano sull’assegnazione di questo premio e che, a mio avviso, inquinano il suo esito, svilendo agli occhi di molti lettori e scrittori i testi vincitori.

I riflettori sono puntati tutti sulla giuria, questa congrega dei quattrocento “Amici della Domenica”, formata da scrittori e critici letterari, oltre che da decine di altri intenditori, o presunti tali. Nelle loro mani è posto il risultato di questa competizione, la scelta per questa o quella “fazione”, con le conseguenze che ben sappiamo. Lo scenario che ogni anno ci si trova davanti è una giuria suddivisa in pacchetti di voti blindati, giurati che già sanno per chi votare, poiché non hanno un metro di giudizio se non quello della casa editrice di riferimento, giurati che neanche leggono i libri in gara, nemmeno quello che già hanno deciso di votare: l’importante è che sia pubblicato dall’editore che interessa loro; possiamo ben immaginare perché quell’editore gli “interessa”, a voler essere malpensanti, ma sorvoliamo; il vero dramma è che gran parte dei giurati vota libri di cui non ha letto mezza pagina. Esistono addirittura giurati che, se non trovano il romanzo che per qualche ragione gli interessi non vanno neppure a votare.

 

A titolo di approfondimento di questo aspetto cruciale dei meccanismi che sottendono al premio Strega segnalo due articoli apparsi su Repubblica nei giorni scorsi, consultabili sul sito di Repubblica:

COME SI VINCE UN PREMIO Editor, relazioni e voti: così si diventa padroni dello Strega Repubblica — 03 luglio 2010   pagina 36   sezione: CULTURA

e

Io, giurato dello Strega prigioniero dei raccomandati

Repubblica — 03 luglio 2010   pagina 137   sezione: PRIMA PAGINA

 

Ciò che mi irrita è il vedere, durante la consueta diretta televisiva in seconda serata sulla rete ammiraglia della Rai, avvicendarsi ai microfoni dei conduttori di quella diretta, oltre ai dirigenti e proprietari delle case editrici, anche e soprattutto personaggi del mondo della politica, troppi per i miei gusti, che ivi si trovano solo perché sono l’attuale sindaco di Roma oppure l’ex sindaco di Roma, il ministro della cultura o qualunque altro esponente di governo. La loro presenza, e le affermazioni che rilasciano ai giornalisti presenti, la dicono lunga sulla piega che questo premio prende e sull’esito finale. Ormai sempre più spesso in ambienti del mondo della cultura che qualcuno in gergo politico definirebbe “antagonisti”, si parla di “premio Mondadori” per designare il premio Strega.

Al termine di tutte queste considerazioni, un pensiero mi attraversa la mente, senza intenti né venature polemiche: non ho letto “Canale Mussolini” né “Acciaio”, però mi avrebbe fatto piacere che la Avallone, un’esordiente di 25 anni, laureanda in lettere e, soprattutto, precaria, avesse avuto la soddisfazione di vincere questo tanto ambito premio, che le sarebbe servito da trampolino di lancio in un paese come l’Italia dove il mestiere di scrittore è difficile, se non impossibile, a tutte le età ma in particolare per gli esordienti, soprattutto se giovani, rispetto a Pennacchi, che ha già una carriera letteraria di lungo corso alle spalle e di riconoscimenti e soddisfazioni personali ne ha già avute.

 

A conclusione di questo pezzo cito un episodio risalente alla cerimonia di assegnazione del premio Strega 2007: erano presenti, tra gli altri, anche gli allora ministri della Cultura, Rutelli, e della Giustizia, Mastella; quest’ultimo mi colpì in particolare, poiché alla domanda sul libro che avrebbe scelto come vincitore, si espresse a favore di Niccolò Ammaniti e del suo “Come Dio comanda”, dando una motivazione che probabilmente a lui sarà parsa sensata ma a me (e scommetto a molti altri) è risultata sconcertante: dal momento che in gara c’era un libro dal titolo “Mal di pietre”, di Milena Agus, disse che, vista l’assonanza di quel titolo col nome di un altro esponente politico e compagno di governo, quel Di Pietro col quale era in una fase acuta di guerra all’interno del governo di allora, preferiva scegliere piuttosto “Come Dio comanda” che più si addiceva alla sua natura cattolica e democristiana. Davvero una bella motivazione!

Leggere i libri in gara prima di giudicarli, al fine di fare scelte sensate e coerenti, questo al caro Mastellone proprio non era sovvenuto; d’altronde non era neanche suo compito leggere i libri, lui si trovava lì in quanto ministro e politico e, come tale, era tenuto a fare ai microfoni che gli si accostavano il suo dovere di bravo dispensatore di scemenze, delle quali per fortuna nessun politico italico è sprovvisto, anzi!

Brevi considerazioni sul premio Strega.ultima modifica: 2010-07-05T18:56:00+02:00da arteletteratura
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